Ristorante Papillon
Punteggio: 4,5 / 5
Prezzo (escluso bevande): 40 / 60,00 euro cad.
Specialità consigliate
Ci sono sabati che si trasformano in occasioni straordinarie, in momenti di incontro, nati dalla voglia di ritrovarsi a condividere assieme passioni culinarie. Ve la racconto così proprio come è andata e come l’ho vissuta, con l’emozione di un appassionato che si ritrova pian piano catapultato in un mondo straordinario, ricco di aneddoti, persone e ricordi.
Tutto inizia poche settimane fa quando il mio amico Maurizio mi invita a provare un locale nella provincia bergamasca, precisamente a Torre Boldone: Il Ristorante Papillon dello chef Antonio Ghilardi. Vi dico la verità, il nome non mi era nuovo, ma non ricordavo dove l’avessi già sentito, così come spesso accade faccio un paio di ricerche in modo da non trovarmi impreparato durante la scelta dei piatti.
Digitando il nome dello chef sul web compare immediatamente questa frase: “Antonio Ghilardi, è bravissimo, molto intelligente: lavora a Bergamo, a Torre Boldone, commenta Gualtiero Marchesi“… Immaginatevi la mia sorpresa nel sapere che da lì a poco avrei mangiato da lui, dall’allievo prediletto del Maestro Marchesi.
Il locale è posizionato all’interno di una villa nel Parco dei Colli di Bergamo a pochi passi dalla città. La vista nonostante il brutto tempo è mozzafiato, tant’è che il ristorante è chiamato la Terrazza di Bergamo. Al nostro arrivo veniamo accolti dalla moglie dello chef, Elisabetta, la sua gentilezza mi mette subito a mio agio e ne approfitto per guardarmi attorno e curiosare. il locale è tipicamente classico, di una sobrietà anni 70-80. Pavimento in parquet, 2 sale, tavoli rotondi, tovaglie damascate bianche, sedute imbottite rivestite in color amaranto, un acquario all’ingresso e un pianoforte nel mezzo della sala principale danno quel tocco retrò. Il locale ricorda la hall di un albergo di montagna, tipo Baita per intenderci. Le grandi vetrate che illuminano la sala sono la caratteristica più affascinante, poiché mangiando si scorge una bellissima vista della città.
La struttura è circondata da un grande parco, ideale per ricevimenti e pranzi all’aperto durante la stagione primaverile. Appena accomodati al tavolo ci raggiunge lo chef Ghilardi, ci affidiamo alle sue mani per una degustazione che spazia tra carni e pesce. Già dalle prime portate ci è chiara la volontà di mantenere ben salde le tradizioni, perché la cucina di Antonio, benché creativa ha delle fondamenta classiche, legate alla tradizione italiana, come voleva Marchesi, dove la materia prima è la protagonista indiscussa e dove si segue la stagionalità dei prodotti senza grandi virtuosismi, una cucina fatta di qualità, di cotture sottovuoto, di portate con salse e fondi di carne; più semplice; più buona. Dagli gnocchi di zucca con gorgonzola dolce e noci, agli spaghetti con tonno, vongole e bisque di gamberi, al controfiletto di manzo con salsa ricca alla cipolla rossa candita. I sapori sempre bilanciati ed equilibrati tra loro, le salse e i “fondi“ che accompagnano le carni o il pesce sono delicati e danno vigore senza mai disturbare il palato. Cotture perfette e contrasti raffinati. Chiudiamo con i dolci, come il Tiramisù al latte di mandorle e turbante di cioccolato e la Crème brûlée alla liquirizia, dolci dai sapori straordinariamente coinvolgenti.
Conclusa la degustazione ci ritroviamo a chiacchierare con lo chef ed io come un bambino curioso ascolto affascinato i racconti del suo periodo da Marchesi, tra fornelli e grandi piatti, tra sperimentazione e grande rispetto per il mentore. Di come la brigata sia sempre stata legata al Maestro, di come sotto la sua direzione siano passati grandi chef come Davide Oldani, Berton, Cracco, Lemaanh, Crippa.
Una brigata che al pensiero viene la pelle d’oca. Una concentrazione di cuochi di alto livello radunata in un unico momento di vita. Snocciola aneddoti, guarda foto, si confronta con Maurizio sulle tecniche di cottura e gli impiattamenti, Antonio non si risparmia e spiega l’evoluzione della sua cucina dai tempi di Marchesi ad oggi. Un’esperienza di vita, di cucina, di passione vissuta nell’arco di qualche ora, in un sabato pomeriggio tra le colline Bergamasche, assaggiando piatti che lasciano dietro di se una storia, quella di Marchesi e della cucina italiana.